La lettura non permette di camminare, ma permette di respirare

Natural…mente

Natural…mente

Caro Poeta

cosa c’è di meglio che lasciarsi trasportare dalla Poesia e dalla Natura?

Oggi ho il piacere di soffermarmi su una breve lettura che con mia figlia Paola, preparammo per la stesura della dodicesima edizione dell’antologia poetica quell’anno dedicata alla Natura e che spero possa farti compagnia. Ovviamente puoi richiedere una copia gratuita in pdf scrivendomi all’indirizzo info@iltorrioneforio.it che riceverai in breve tempo anche con eventuali commenti e idee.

Con l’auspicio che il testo sia di tuo gradimento ti auguro

Buona Poesia

 

DODICESIMA EDIZIONE CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “Ischia l’Isola Verde” dedicato alla Natura

Il Concorso di Poesia “Ischia l’Isola Verde”, nato nel 2002 fino alla 3a edizione ha avuto il nome di “Città di Panza” e dalla 4 a alla 7a quello di “Panza – Isola d’Ischia”. Esso è organizzato dall’ “Associazione Giochi di Natale” e vanta partecipanti da tutta Italia. Il Concorso ha lo scopo di stimolare la riflessione e la creatività e promuovere i valori umani, sociali e culturali. Ogni edizione ha una dedica, ma il tema è libero; vengono assegnati dei premi speciali alle migliori poesie aventi come tema quello della dedica. Le opere, originali, non devono aver partecipato ad edizioni precedenti del nostro Concorso né aver vinto premi in altri Concorsi. Esse possono essere in lingua italiana o in dialetto; queste ultime possono essere accompagnate da una traduzione in italiano. Le opere sono pubblicate oltre che nella presente raccolta anche sul sito Internet www.giochidinatale.it, dove si possono trovare gli elenchi dei vincitori, il regolamento completo e notizie sulle altre iniziative dell’Associazione e su face book Giochi di Natale.              Questa edizione è dedicata alla Natura: «Il mare che ci circonda, il sole che ci dà vita, la luna e le stelle che brillano nel cielo sono vere ricchezze. Sono tesori senza tempo e ci sono stati regalati per ricordarci a ogni istante la magia dell’esistere, sono la testimonianza di un mondo pieno di miracoli, e basta guardarsi intorno per realizzare i sogni». (Sergio Bambarén )

Si ringraziano i partecipanti, i membri della Giuria, tutti quelli che hanno collaborato, e voi lettori sensibili allarte poetica.

Natural…mente

“La natura è piena d’infinite ragioni, che non furon mai in isperienzia.” (Leonardo da Vinci)

Il termine Natura deriva dal latino “natura”, participio futuro del verbo “nasci” e letteralmente significa “ciò che sta per nascere”, e a sua volta, deriva dalla traduzione latina della parola greca “physis”, collegata al sostantivo “phàos, phòs” che vuol dire luce, pertanto esiste la connessione tra vita e luce. Il rapporto che intercorre tra Natura e Poesia è talmente solido, radicale e profondo da consentire un numero infinito di rimandi e interazioni. Tuttavia, vale la pena di notare come la Natura non muova direttamente alla Poesia, ma la Poesia assuma la valenza originaria di elemento di sovrapposizione e collimazione di quel sistema perfettamente atto alla progressione degli eventi, che spesso definiamo come Natura. La capacità d’interferenza, cui di solito gli uomini equiparano il loro volere, assume la dimensione dell’intervento correttivo dell’agire umano, capace di autodeterminarsi oltre il ripetersi naturale dell’atto, diffondendo una dimensione comunicativa. Natura e Poesia, cioè Cultura, non vivono però tra loro determinandosi solamente quali poli antitetici del Vero umano: sono anche dipendenza della determinazione del Sentire dell’Uomo e quindi della percezione dell’Umanità, concedendo agli Uomini di svincolare il senso della realtà sistemica in cui Tutto parte dall’ambiente circostante. Attraverso ciò compiendo il più alto degli atti culturali: quello cioè dell’auto riconoscimento del Sé e del Gruppo degli Umani quali parti e diversità rispetto al complesso degli esseri e delle forze che gli orbitano intorno. La Natura ha coinvolto i più grandi Poeti, da Plinio il Giovane a Dante Alighieri fino ai giorni nostri e ovviamente anche gli Artisti che ci sono cimentati ad arricchire quest’Antologia. Il Sommo Poeta descrivendo il Sole che ha reso possibile la vita nel Decimo Canto del Paradiso lo indica come: «lo ministro maggior de la natura». Consci di far torto ai tantissimi Poeti che hanno inneggiato la Natura, ne citiamo solo alcuni per esigenze di spazio.

Nell’Ottocento, con la nascita del romanticismo e del neoclassicismo, torna tra i grandi temi della poesia italiana quello della Natura. Attraverso l’analisi dei componimenti di Leopardi, Carducci e Pascoli, è possibile assistere alle diverse interpretazioni che questi tre grandi autori del secolo diciannovesimo danno al significato della Natura e del suo rapporto con l’Uomo.

In Giacomo Leopardi, rappresentativo per la sua posizione a cavallo tra il romanticismo e il classicismo, la Natura segue il percorso del pensiero filosofico dell’autore: in un primo periodo, o fase del pessimismo storico, questa è considerata un’entità benefica e positiva, poiché produce solide e generose illusioni che rendono l’uomo capace di virtù e di saggezza.

Nella seconda fase, definita del pessimismo cosmico, si giunge alla concezione della Natura matrigna, cioè di una Natura che non vuole più il Bene e la felicità per i suoi figli. Essa è, infatti, la sola colpevole dei mali dell’uomo; è ora vista come un organismo che non si preoccupa più della sofferenza dei singoli, ma che prosegue incessante e noncurante il suo compito di prosecuzione della specie e di conservazione del mondo, perché meccanismo indifferente e crudele che fa nascere l’uomo per destinarlo alla sofferenza. Leopardi sviluppa quindi una visione più meccanicistica e materialistica della Natura, una Natura che egli con disprezzo definisce matrigna. L’uomo deve perciò rendersi conto di questa realtà di fatto e contemplarla in modo distaccato e rassegnato. Il destino dell’uomo, cioè la sua malattia, è in fondo lo stesso per tutti. In questa fase Leopardi ha capito che è inutile ribellarsi, ma che bisogna invece raggiungere la pace e l’equilibrio con se stessi, in modo da opporre un efficace rimedio al dolore.

Ed è proprio la sofferenza che Leopardi reputa la condizione fondamentale dell’essere umano nel mondo. Espressivo, a questo proposito, è un passo tratto dal “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” nel quale emerge tutta la sfiducia verso la condizione umana nel mondo da parte del poeta, una condizione fatta di sofferenza e di eterna infelicità.

«Questo io conosco e sento, / che degli eterni giri, / che dell’essere mio frale / qualche bene o contento / avrà fors’altri; a me la vita è male»

Il poeta, che si cela dietro il pastore, ricava dalla sua esperienza materiale (conosco e sento) la certezza del male, come carattere indubitabile della propria vita. E la Natura, rappresentata dalla luna alla quale il pastore si rivolge, rimane silenziosa di fronte alle domande esistenziali dell’uomo alle quali non può o vuole rispondere, dimostrando ancora una volta di essere matrigna.

La negatività della Natura è possibile rintracciarla anche nell’Ultimo canto di Saffo dove il dramma di Leopardi, che s’identifica con Saffo, coincide con il conflitto uomo-natura.

«Vile, o natura, e grave ospite addetta / È dispregiata amante, alle vezzose / Tue forme il core e le pupille invano / Supplichevole intendo.».

In questa poesia alla bellezza armoniosa della natura si contrappone la bruttezza fisica e l’infelicità di Saffo, che ne è crudelmente esclusa. La vile natura non cede alle suppliche di Saffo, che profondamente soffre per il suo amore non corrisposto e per la sua disarmonia con l’universo.

È dunque, quello tra natura e uomo, un rapporto molto conflittuale per il Leopardi, che non può essere in alcun modo risolto. Solo negli ultimi anni della sua vita Leopardi trova un modo per opporsi alla negatività dell’universo e lo espone nella sua ultima poesia. La ginestra è considerata l’estremo messaggio della riflessione filosofica del poeta: prendere atto dell’infelicità collettiva così da stabilire un rapporto di solidarietà tra tutti gli uomini. In particolare, negli ultimi versi della lirica, senza presunzione o sottomissione alla potenza della natura, l’autore accetta con dignità il suo destino. L’umanità, dal fiore della ginestra, dovrebbe imparare a trascorrere una vita serena, senza tracce di superbia.

Assai differente è invece la concezione della natura di Giosuè Carducci che abbraccia completamente il neoclassicismo tanto da dichiararsi «scudiero dei classici». Il rapporto con la natura è posto sempre all’inizio di ogni sua poesia, ma questo non significa che esso sia il più sentito. In effetti, la natura, nella sua poetica, non riesce a svolgere quel ruolo mediatore o purificatore che egli le vorrebbe assegnare; ciò proprio in virtù del fatto che il poeta ha consapevolezza dell’importanza di un altro rapporto: quello politico-ideale con la società. L’incapacità di vivere in modo adeguato tale rapporto ha fatto sì che nelle sue ultime poesie domini l’elemento ricercato, anche quando si è alla presenza di una vigorosa descrizione dell’ambiente naturale. La natura, in altre parole, non è qui usata come strumento per “cantare” i successi della società o la realizzazione degli ideali politico-sociali, ma diventa la cornice che racchiude il quadro di una vita disillusa. Per esempio. in San Martino l’esordio è tutto paesaggistico: il poeta traccia anche uno schizzo di vita agreste, rurale, ma il finale resta malinconico. Il cacciatore, dietro al quale si cela il poeta, fischia non lontano dallo spiedo, lasciando presagire una vita soddisfatta di sé (l’aspro odor dei vini, l’anime a rallegrar). Tuttavia, l’apparente felicità nasconde una tristezza: i pensieri sono esuli. Cioè, perché l’uomo possa sopravvivere, sembra che la felicità debba pagare un alto prezzo: la morte del pensiero, la fine dell’auto consapevolezza, la rinuncia all’ideale. Di questo il cacciatore-poeta è cosciente e, per quanto fischi, non può fare a meno di rimirar gli stormi-pensieri (ovvero gli ideali irrealizzati) che se ne vanno. Soltanto la natura, o la semplicità delle cose tradizionali, può attenuare lo sconforto del poeta.

La rappresentazione della natura per Giovanni Pascoli è una grande metafora di un mondo invisibile che il poeta riesce a portare alla luce. Un esempio palese è quello della poesia Il Gelsomino notturno, in cui tutto si fa simbolo di qualcos’altro e la natura è descritta tramite figure retoriche d’impatto come la percezione simultanea o la metafora. La natura diventa dunque universale e ha dentro di se un’enorme vastità di temi. Essa allora non è un semplice scenario, ma un organismo vitale e dinamico da cui scaturisce simultaneamente la poesia che si trova nella realtà stessa, senza aggiungere a essa delle costruzioni immaginarie. La poesia, infatti, non è invenzione ma scoperta, intuizione, emozione del poeta-fanciullo, semplice e diretto. Altro aspetto della natura del Pascoli è quello rasserenante, con i suoi cicli stagionali, il lavoro agreste che si ripete come un rito liturgico, la sua serenità e semplicità.

La natura è la protagonista delle opere più liriche di Pascoli: Mirycae e i Canti di Castelvecchio. In entrambe queste raccolte è molto presente il tema dell’alternarsi delle stagioni, che simbolicamente allude all’alternarsi della vita e della morte. Il motivo naturalistico, infatti, s’innesta su quello dei lutti familiari e ne diviene simbolo. Nella descrizione dei particolari della natura, caricati di un valore simbolico, Pascoli impiega una tecnica che in pittura è definita “puntinistica”, vale a dire riporta nei suoi testi una serie non gerarchica di particolari oggettivi che rimandano a impressioni soggettive e che quindi non possono essere messi insieme in una visione unitaria. Se a una prima lettura si potessero ricondurre le poesie di Pascoli alla tecnica del bozzetto naturalistico, a un più attento esame non sfuggirebbe che i particolari della natura sono impiegati sempre come rimandi a impressioni soggettive. Le posizioni di Pascoli e Carducci sono quindi antitetiche rispetto a quelle del Leopardi, in cui è preponderante il carattere filosofico. Mentre quest’ultimo resta ancora legato alla tradizione romantica gli altri due sono proiettati verso la modernità, anche se da un punto di vista fortemente classicista.

Spesso la Poesia è stata ed è espressione della nostalgia delle origini. Baudelaire, indiscusso caposcuola della modernità, nella cui poesia il “bello”, il “buono”, in una parola il “paradiso”, sono un bene perduto, un sogno inghiottito nella nebbia dei secoli passati: “A me caro è il ricordo delle età nude… / A lungo vissi in vasti portici… / Fu la mia giovinezza… / Al tempo che natura…”. Ecco che si riaffaccia il sentimento della natura, qui, chiaramente come bene perduto, stato di natura originario, mitico passato dell’Eden, nei tempi in cui uomo, natura e Dio erano in rapporto di armonia, quasi articolazioni di una superiore unità, verso cui solo la Poesia può tendere con insanabile nostalgia, seguendo e interpretando i segni, i simboli nascosti nell’apparenza del reale. È l’insanabile nostalgia delle origini, è il senso della caduta, che fa tutt’uno con quello dell’elezione e della maledizione del Poeta, il quale è maledetto perché, come un angelo caduto e diseredato, è “diverso” e deriso da chi non ha coscienza di quella caduta; ma, al tempo stesso, egli il caduto, il deriso, il maledetto è anche colui il quale si sente eletto. Eletto a che? A testimoniare con la sua opera la tensione disperata verso la perduta unità con la natura.

Qualunque sia l’approccio individuale verso la natura, non si può prescinderne. Essa ci dà e regola la vita, e quando la nostra specie sarà estinta, lei sopravviverà, almeno per i prossimi cinque milioni di anni. Ringraziando gli Autori, la Giuria, e chi ha reso possibile la realizzazione di quest’antologia, Vi diamo appuntamento all’anno prossimo con un nuovo e intrigante argomento: La Musica.

Paola e Luigi Castaldi

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