C’è un momento, quando esci dall’acqua, in cui il sole ti asciuga e la pelle resta coperta di una polvere invisibile di sale. È lì che il mare ti resta addosso. Non solo sulla pelle, ma nei pensieri. È come se ogni granello fosse una parola non ancora scritta, un frammento di storia in attesa di trovare posto sulla pagina. Questo è scrivere al mare.
Il mare ha questo potere: ti svuota e ti riempie allo stesso tempo. Ti porta via i pensieri superflui, come fa con le impronte sulla sabbia, e lascia solo quello che conta. Nel fruscio delle onde, c’è una cadenza che somiglia al ritmo di una frase ben costruita. Un’onda, una pausa. Un’onda, un respiro.
Scrivere dopo il mare è diverso. Le parole arrivano lente, come se avessero viaggiato a lungo prima di bussare alla tua mente. Non c’è fretta. Ti siedi, magari ancora con i capelli bagnati, e inizi a sentire che quello che vuoi dire non è urgente, ma necessario. E le pagine bianche si riempiono con facilità, lasciando segni del tuo passaggio come il sole sulla pelle, che abbronza evidenziando il chiarore dei punti coperti dal costume.
Il sale è memoria. Rimane anche quando torni a casa e ti fai la doccia. È un odore, un sapore sulla punta delle labbra, una sensazione che non puoi lavare via del tutto. Così sono anche certe storie: restano, si infilano nei giorni, ti chiamano quando meno te lo aspetti.
Il mare è maestro di distanze. Ti insegna che c’è un orizzonte da guardare, ma che non lo raggiungerai mai. Ti fa capire che la scrittura funziona allo stesso modo: insegui qualcosa che non toccherai del tutto, ma che nel viaggio diventa già abbastanza.
Il mare ci ricorda che ogni storia può essere un viaggio, e che le parole possono scorrere come correnti inaspettate.
E poi ci sono i silenzi. Non quelli vuoti, ma pieni di suoni che non ti accorgi di ascoltare: il gabbiano lontano, il vento che cambia direzione, il frangersi irregolare delle onde. Sono come le pause in un testo: non riempiono, ma fanno spazio.
Forse scrivere è proprio questo: imparare a trattenere un po’ di mare dentro di sé. Lasciare che il sale, invece di seccarti, ti conservi.
Quando torni dalla spiaggia, e ti siedi davanti al foglio, non stai più scrivendo solo con le mani. Stai scrivendo con la pelle, con il rumore delle onde ancora nelle orecchie, con il sole che ti è rimasto dentro le ossa. E non c’è più attesa, ma solo serena produzione.